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"Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vidotto

Tecnica, tattica, sistemi e materiali di gioco

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda gregorio » mercoledì 10 luglio 2013, 13:15

Grazie, lo scarico, lo leggerò e ti farò sapere.
Ciao
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda peppino62 » giovedì 11 luglio 2013, 12:33

Ottimo scritto , complimenti all'autore , speriamo ci sia di aiuto !!!
Lo sciocco ha mille certezze , il saggio nessuna.
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » giovedì 11 luglio 2013, 20:31

caro Sergio,ti dò del tu perchè così si usa sui forum;
il valore intrinseco del tuo libro ha per me un valore talmente alto che nemmeno ti puoi immaginare,non sto parlando solo di biliardo e come vincere,e probabilmente quello che ti ha portato a scriverlo non è solo questo.
Se lo avessi letto e capito quando avevo 14 anni sicuramente avrei evitato molti errori,nel leggerlo ne ho tratto una forza sconosciuta che mi ha riportato nel passato tra ricordi piacevoli e spiacevoli.
Mentre gli spiacevoli mi sono scivolati addosso i piacevoli mi hanno dato una grande gioia portandomi probabilmente al livello 5.
Sono stato per tanti anni al livello 1 e penso che tu sappia cosa significhi,altrimenti non avresti potuto partorire uno scritto del genere!
Il biliardo mi ha aiutato molto e lo farà per molti anni ancora!
Userò sicuramente i tuoi consigli e ne farò tesoro.
Grazie............................................. :ciao
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » venerdì 12 luglio 2013, 13:46

omeris ha scritto:Sebbene apprezzi l'analisi della profonda, dettagliata e puntuale sintomatologìa del disagio psicologico che la competizione può procurare, magistralmente descritta, non so cogliere suggerimenti validi e precisi per una adeguata terapìa.
Se ciò è causato dalla mia superficialità e/o distrazione, sarei grato a chi mi volesse segnalare i punti che ho trascurato, o confermare che la terapìa non rientra nelle finalità dello scritto.
Ringrazio comunque sentitamente l' autore e saluto cordialmente. :ciao:

la "terapia" tra le righe consigliata da sergio è a mio avviso questa:
quando vai in gara portati un amico che ti guarda ,lui dall'esterno noterà i tuoi momenti no,le tue arrabbiature i tuoi gesti fatti di fretta etc etc.
dopo la partita tu  a mente calda gli dirai che cosa ti è passato per la mente,cosa ti ha disturbato, cosa hai pensato cosa ti ha dato fastidio del tuo avversario.
la vostra deve essere una terapia degli errori,piano piano devi eliminarli uno alla volta,lo so che non è facile ma dall'esterno si notano delle cose di cui noi che stiamo giocando non notiamo oppure pensiamo sia giusto arrabbiarsi o prendersela contro la malasorte.
Dobbiamo imparare(ed io spero di farlo al più presto) ad essere veramente responsabili dei nostri tiri, dei nostri errori ,dei nostri comportamento,solo così a mio parere possiamo imparare ad aumentare  il nostro"tono"
PS.il mio parere magari è sbagliato, ma è una delle cose che mi sembra Sergio abbia caldamente consigliato
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » venerdì 12 luglio 2013, 15:11

Ringrazio asso ferro.
Non voglio in questa sede dibattere i miei problemi, ma rendermi conto se qualcosa di importante nello scritto di Vidotto mi è sfuggito o non ho saputo interpretare.
Mi limito a dire che secondo me, già prima della partita, certi soggetti sono disposti ("chimicamente") ad un contegno o ad un altro, del tutto opposto.
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda rik » sabato 13 luglio 2013, 18:19

Non credo nella 'chimica' ma nell'allenamento, ciao!
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » domenica 14 luglio 2013, 14:51

anche l'allenamento è chimica (absit injuria verbis) :ciao:
Ultima modifica di omeris il domenica 14 luglio 2013, 14:51, modificato 1 volta in totale.
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » lunedì 15 luglio 2013, 9:56

l'allenamento è importantissimo ma si perde sopratutto perchè non si riesce a gestire la parte emozionale ,che nel nostro gioco è fondamentale. :ciao:
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda sergio vidotto » lunedì 15 luglio 2013, 16:50

Trieste, 15/7/13

Cari amici, vorrei esporvi il mio punto di vista in merito al piccolo dibattito cui ho assistito e che verte, in pratica, su cosa si dovrebbe fare o non fare, avere o non avere, allo scopo di giocare un po’ meglio. Prima di cominciare, permettetemi di scusarmi con Omeris per il ritardo con cui rispondo ai suoi appelli e per il fatto che non mi rivolgo a lui personalmente ma un po’ a tutti voi, che avete ancora voglia di leggermi.
E dunque, per tentare di sbrogliare questa matassa, che è tuttora piuttosto aggrovigliata, il mio contributo consiste nel ribadire cose vecchie ed aggiungere alcune cose nuove.
Bene; esaurite le premesse, vediamo di fare un po’ di ordine.
Una qualunque persona che si accosta al biliardo e, trovando che si tratta di un’attività interessante, continua a praticarla, sviluppa alla fine una certa capacità di gioco che dipende da tanti fattori, predisposizione, interesse, quantità e qualità degli allenamenti, studio dei particolari tecnici, eccetera; e qui è inutile continuare, visto che per quanti fattori ti vengano in mente, ci sarà sempre qualcuno che te ne tira fuori uno nuovo. Ciò che conta invece, è notare che ogni giocatore, usando tutti questi fattori combinati in infiniti modi, sviluppa un’identità di gioco  unica e irripetibile, un po’ come le impronte digitali. Allo stesso tempo, tutti i giocatori hanno diverse cose uguali, fra le quali due gambe e due braccia funzionanti (speriamo), ed una testa dal cui interno partono dei segnali, o impulsi, per far muovere queste appendici.
È difficile negare che sia così; sono cose concrete, che si vedono.
Poi, ci sono le cose che non si vedono, anch’esse divise fra le cose strettamente personali e quelle uguali per tutti; anch’esse concrete, se non altro per gli effetti visibili che producono, come ad esempio un giocatore bravo che riesce sistematicamente a perdere con uno di pari forze o addirittura meno bravo di lui.
Le cose che non si vedono, ma dei cui effetti ci accorgiamo con facilità, provengono dalla mente.
Il fatto che si vedano gli effetti ma non si sia sicuri delle cause porta tutti noi a strologare su queste cause,  sensate o fantasiose che siano. I primi in fila su questo sono gli psicologi, i quali snocciolano cause che a volte appaiono genericamente sensate, ma dal punto di vista della storia di un individuo singolo, proprio di quella persona unica nel suo genere, rischiano di diventare raccogliticce e banali, se non addirittura dannose.
Ciò che è uguale in tutti i giocatori è il meccanismo di funzionamento della mente. Deve essere così, sennò avremmo uomini, superuomini, sotto uomini e quaquaraquà, ed avrebbero ragione coloro che hanno coniato quest’ultimo appellativo, e noi non saremmo in una sala biliardi ma in un romanzo di fantascienza. Ciò che invece è personale e unico in ogni giocatore è il materiale che viene immesso nella sua mente e da questa elaborato. Anche questo materiale è formato da un mucchio di fattori: shock di dolore fisico, shock emotivi, educazione, comportamento negli anni dei genitori nei confronti di costui, dei parenti più o meno prossimi, degli amici, delle persone ostili o subdole, e dei secondini. È evidente che il  secondino che custodisce le chiavi della gabbia che il tizio negli anni si è costruito da sé, può essere chiunque, un padre a sua volta aberrato, una zia di famiglia leggermente sadica o una fidanzata piena di malizia. Tutti questi possono influire negativamente sulla vita del giocatore, non solo quando c’è dentro, ma anche dopo che ne è uscito; una madre autoritaria prosegue, anche dopo che è morta, ad esercitare il suo influsso sul figlio piegato e annichilito. L’influsso si può manifestare, tanto per dire una cosa qualunque, in una strana timidezza a fare gli ultimi punti necessari a vincere una partita, visto che per diversi anni il tipo ha dovuto rifiutare qualunque vittoria, anche di poco conto, nei confronti di parecchie persone e soprattutto al cospetto dei suoi tormentatori (veri o presunti), per non essere punito ancor più crudelmente (seppure nella sola immaginazione).  
Ora, mi sembra già di sentire un leggero mormorio di protesta da parte di chi non ha mai sofferto di queste pene. Beh, sono contento per lui; non intendo dire che tutti sono vittime di tali influssi: per affermarlo dovrei conoscerli uno per uno… ma ripeto il concetto con un esempio. In una classe di trenta alunni (come si usava ai miei tempi) è ora del compito d’italiano. Bene, il titolo, l’argomento, è uguale per tutti, come sono uguali gli strumenti per esprimersi, un foglio, una penna e la lingua italiana; eppure, ognuno di quei trenta temi sarà diverso dagli altri.
Allo stesso modo, quella data persona singola non può che esprimere ciò che è custodito in sé, vale a dire  le cause delle proprie anomalie, grandi e piccole o, perché no, del suo perfetto star bene; ma, se quelle cause variamente moleste esistono dentro di lui, potrebbe venirne a capo, se solo le potesse ricordare esattamente così come sono, registrate in qualche angolo buio della sua mente.
Beh, qua e là nel libro c’è qualche riferimento a delle procedure che stimolano i ricordi d’una persona e l’aiutano a migliorare le varie sue attività, e la stessa qualità della propria vita. Ho accennato poi al fatto che per avviare tali procedure ci deve essere una squadra di due persone, fra le quali deve esistere una buona affinità, una sufficiente comunicazione e l’accordo, alla pari, su come interpretare i rispettivi ruoli. Così avremo una di queste che interpreta se stessa, e l’altra che ascolta tale rappresentazione, aggiunge delle domande, amministra il colloquio e controlla che tutto avvenga secondo i modi più favorevoli.
Nell’insieme, si è trattato di brevi accenni che ai più sono passati inosservati, credo, visto che li ho immersi nell’oceano di parole con cui ho inondato questo racconto.  D’altra parte, ho scelto come argomento principale i motivi per cui si sbaglia, piuttosto che i modi adatti a sbagliare di meno, o molto di meno. Ora, leggendo il mio racconto uno può facilmente pensare che, se uno sbaglio è dovuto alle cause più o meno descritte, se ne deduce che ‘basta’ eliminare quelle cause per non sbagliare più, o comunque meno di prima. Beh, certo che è così; ma la domanda diventa allora sempre la stessa: come si fa ad eliminare sul serio quelle dannate cause?
 In altri termini, ho lasciato sotto traccia la questione del miglioramento personale. Perché ho scelto questa strada? Il motivo è che se avessi snocciolato una bella serie di consigli e prescrizioni di carattere psicologico, ne sarebbe venuto fuori, io credo, uno dei tanti manuali del tipo: ‘il relax assoluto in dodici lezioni,’ o ‘imparate a diventare infallibili con una tisana delle Indie Orientali,’ o ‘imitando il trillo del vostro canarino,’ eccetera. O, se avessi usato un tono più serio e grave, avrei magari indotto ad usare diversi accorgimenti che poi per molti non sarebbero neanche adatti ma, ficcati a forza fra le pieghe della mente, avrebbero fatto attorcigliare costoro attorno a queste sedicenti Verità Rivelate, in pratica sostanze tossiche, e avrebbero compromesso il loro già pericolante equilibrio interiore per chissà quanto tempo, con relativo calo delle prestazioni sportive.
In realtà, la questione del miglioramento personale d’un giocatore di biliardo è davvero importante, direi la questione capitale, tanto da dovercisi avvicinare appoggiando con cautela il bagaglio contenente le conoscenze specifiche; stando attenti cioè di sistemarlo con delicatezza accanto a lui e non sbatterglielo sopra  opprimendolo o comunque procurandogli disagio.
Poi, estratti dal bagaglio gli strumenti appropriati per quell’individuo specifico, egli non può che migliorare; ed il miglioramento avviene a gradi e scossoni, e secondo gli aspetti più diversi, spesso inaspettati. Gli strumenti sono parole e domande adatte, la cornice di lavoro è un colloquio amichevole; alla fine, si potrebbe affermare che la condizione minima in cui si troverebbe il giocatore che esce da tali colloqui sarebbe già soddisfacente, perché lo renderebbe consapevole della vera natura dei propri sbagli, e gli si  attenuerebbero le ferite per sbagli antichi. Tanto per capirci, egli capirebbe che lo sbaglio fatto nella partita di ieri sanguina copiosamente e procura dolore perché è alimentato dal sangue ancora fresco di vecchie ferite precedenti mai rimarginate; e che tutto ciò provoca una paura cronica dello sbaglio. Aggiungerei paura irrazionale, nel senso che quando essa è cronica, il giocatore la teme più dei valori reali che l’alimentano; come dire che ha paura della paura.  Allora, tamponiamogli quelle ferite vecchie, se lui è d’accordo, cancelliamo o limitiamo la paura di sbagliare sul biliardo in quelle date posizioni; ed ecco che anche la ferita più fresca  si rimargina con una certa velocità e, sul punto in cui faceva male e non smetteva di sanguinare, ora il nostro amico sente solo un leggero prurito.
Aldilà di spiegazioni immaginifiche, In pratica succede all’incirca così (fatte salve tutte le possibili, infinite varianti): egli  ha giocato ieri sera una partita importante ed ha perso per un tiro che di solito non sbaglia quasi mai. Mettiamo che si trovi generalmente in una condizione di spirito media, diciamo comune alla maggioranza dei giocatori, il che significa una condizione piuttosto sgradevole; beh, in questo caso comincerebbe a sacramentare dentro di sé appena finita la partita e continuerebbe tutta la sera, poi dormirebbe poco e male e, la mattina dopo, il primo pensiero che lo attanaglia sarebbe quello del tiro sbagliato malamente, e del dispetto provato, e della vergogna subita, eccetera. Andrebbe col pensiero in giro con irritazione a cercare il perché, ne troverebbe tanti che al momento gli sembrano calzanti ed invece sono alquanto risibili; poi se la prenderebbe con se stesso anche se in modo generico, vomiterebbe un altro getto di cause, stavolta dovute a se stesso, anche queste futili, le quali in più assumono delle sfumature di giustificazione anziché di causa; e alla fine se la caverebbe meditando vendette tremende per la prossima partita con quell’antipatico del suo avversario. E questo è il solito Inferno, che noi giocatori conosciamo anche troppo bene.
Ora, dall’Inferno proviamo a passare al Purgatorio.
Facciamo finta che quel giocatore abbia parlato non molto, ma fittamente, con una persona che vede la cosa un po’ come me, diciamo; e che sa come sguazzarvici dentro. Mah, alla fine egli presumibilmente sarà orientato, al posto di spaccare tutto ciò che rientra nel suo raggio visivo, a cercare con più ragionevolezza i motivi dello sbaglio fatale. Ci penserà sopra, ma sul serio, e troverà che nel tiro precedente (il penultimo) aveva trascurato la fase 3, quella di verifica dei calcoli. Si trovava in piedi già vicino alla propria biglia, le altre due erano lontane, lui ha guardato un po’, ha mirato ed ha colpito la b2 abbastanza bene ma non benissimo. Questo ha permesso all’avversario, bravo di suo, di fare il filotto raggiungendolo nel punteggio; diciamo entrambi a sei punti dalla vittoria. Tocca al Nostro; le biglie si presentano in una posizione non facile, ma possibile: sarebbe fattibile la carambola (4 punti) e, forzando il tiro, mandare la b2 nel castello o almeno lambirlo o insomma buttar giù un qualunque birillo, anche solo per lo spostamento d’aria, per ottenere la vittoria. Si tratta d’un tiro che il Nostro ha nella sua faretra personale, e la percentuale di colpire il bersaglio minimo con quella freccia è rassicurante. L’amico si mette in posizione, brandeggia con una certa sicurezza ma all’ultimo momento si pente dei calcoli appena fatti, all’ultimissimo momento modifica leggermente le traiettorie, ed ecco il patatrac.
Ora, l’aver correttamente scoperto da sé l’intera sequenza, magari dopo averne ricevuto l’impulso dal suo interlocutore,   non cambia il fatto che la sera prima ha perduto, ma produce in lui due interessanti stati d’animo. Il primo è che l’ira funesta si è trasformata in ragionamento consapevole, che è molto più funzionale. Il secondo è il proponimento di lavorare sulle fasi di gioco, a diversi livelli. Il livello più basso in questo caso, ma non meno efficace, riguardava la fase 3, in cui avrebbe dovuto fare la fatica, più che giustificata dal momento delicatissimo della partita, di partire vero l’altro lato del biliardo e osservare attentamente di quanti cm reali discostava la b2 dalla sponda. Un livello superiore è nella fase 7, in cui egli deve resistere ad un attacco irrazionale, che si manifesta con le subdole sembianze della paura di sbagliare e lo fa dubitare dei suoi stessi calcoli, che poco prima aveva battezzato esatti. Non è facile resistere a questo tipo di sbaglio, anche perché l’irrazionalità colpisce in modo fulmineo, come una serpe. Eppoi, in fin dei conti siamo ancora in Purgatorio, dove le anime dei giocatori, pur salendo verso la Grazia, e sorrette, più che da certezze interiori, da una ragionevole speranza, rimangono pur sempre fallibili.
Poi, nel Paradiso dei giocatori succedono altre cose strane. Certo, non avviene che tutti gli abitanti di questa zona vincono sempre e comunque (altrimenti ci sarebbe da chiedersi come fanno due Paradisiaci che giocano fra di loro a vincere entrambi); non perdiamo di vista tutti quei famosi fattori squisitamente umani. Ma la cosa strana è che un tizio promosso  Paradisiaco è avvantaggiato di molto rispetto ad un Terrestre comune, pur essendo, mettiamo, entrambi dello stesso livello tecnico; ovvero, non lo saranno più dopo che, avendo giocato uno contro l’altro una mezza dozzina di volte, il Terrestre avrà perso 5 a 1. Come si può spiegare ciò in termini comprensibili? Beh, una risposta è che entrambi avevano la stessa potenzialità, ma uno l’ha usata per decollare, l’altro non l’ha usata, ed è rimasto a livello del suolo. La seconda domanda sarebbe: come ha fatto colui a utilizzare così bene le risorse potenziali? Risposta: eliminando le scorie. E qui ci siamo, ragazzi: egli è stato aiutato a scoprire le proprie scorie e a farne polvere; non tutte le scorie immagazzinate, ci mancherebbe. Ma solo un mucchietto magari, quello del calcio di tre sponde, o due mucchietti, o parecchi, tutti ridotti in polvere e succhiati via dalla propria mente, per sempre.  
Con questo, cari colleghi, credo di essere stato un po’ più esplicito; non so, non credo di essere stato completamente esplicito nei confronti dell’ottimo amico Omeris i cui dubbi, lo ripeto, rappresentano per me uno stimolo a  ricercare percentuali via via maggiori di verità, e non surrogati di essa rimediati alla buona.
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » lunedì 15 luglio 2013, 20:08

La ringrazio dell'interessante scritto esposto magistralmente e resto in attesa di ulteriori riflessioni e approfondimenti che procurano sempre stimoli positivi. :ciao:
Ultima modifica di omeris il martedì 16 luglio 2013, 13:10, modificato 1 volta in totale.
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda rik » martedì 16 luglio 2013, 9:11

anche concentrarsi al punto da nn veder e sentir altro che il tiro credo aiuti molto, ciao!
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda vitoleo » venerdì 26 luglio 2013, 12:39

Un gran libro e grandi verita'. Grazie sig. Vidotto
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda mario traversa » venerdì 26 luglio 2013, 13:14

sergio vidotto ha scritto:Trieste, 15/7/13

Cari amici, vorrei esporvi il mio punto di vista in merito al piccolo dibattito cui ho assistito e che verte, in pratica, su cosa si dovrebbe fare o non fare, avere o non avere, allo scopo di giocare un po’ meglio. Prima di cominciare, permettetemi di scusarmi con Omeris per il ritardo con cui rispondo ai suoi appelli e per il fatto che non mi rivolgo a lui personalmente ma un po’ a tutti voi, che avete ancora voglia di leggermi.
E dunque, per tentare di sbrogliare questa matassa, che è tuttora piuttosto aggrovigliata, il mio contributo consiste nel ribadire cose vecchie ed aggiungere alcune cose nuove.
Bene; esaurite le premesse, vediamo di fare un po’ di ordine.
Una qualunque persona che si accosta al biliardo e, trovando che si tratta di un’attività interessante, continua a praticarla, sviluppa alla fine una certa capacità di gioco che dipende da tanti fattori, predisposizione, interesse, quantità e qualità degli allenamenti, studio dei particolari tecnici, eccetera; e qui è inutile continuare, visto che per quanti fattori ti vengano in mente, ci sarà sempre qualcuno che te ne tira fuori uno nuovo. Ciò che conta invece, è notare che ogni giocatore, usando tutti questi fattori combinati in infiniti modi, sviluppa un’identità di gioco  unica e irripetibile, un po’ come le impronte digitali. Allo stesso tempo, tutti i giocatori hanno diverse cose uguali, fra le quali due gambe e due braccia funzionanti (speriamo), ed una testa dal cui interno partono dei segnali, o impulsi, per far muovere queste appendici.
È difficile negare che sia così; sono cose concrete, che si vedono.
Poi, ci sono le cose che non si vedono, anch’esse divise fra le cose strettamente personali e quelle uguali per tutti; anch’esse concrete, se non altro per gli effetti visibili che producono, come ad esempio un giocatore bravo che riesce sistematicamente a perdere con uno di pari forze o addirittura meno bravo di lui.
Le cose che non si vedono, ma dei cui effetti ci accorgiamo con facilità, provengono dalla mente.
Il fatto che si vedano gli effetti ma non si sia sicuri delle cause porta tutti noi a strologare su queste cause,  sensate o fantasiose che siano. I primi in fila su questo sono gli psicologi, i quali snocciolano cause che a volte appaiono genericamente sensate, ma dal punto di vista della storia di un individuo singolo, proprio di quella persona unica nel suo genere, rischiano di diventare raccogliticce e banali, se non addirittura dannose.
Ciò che è uguale in tutti i giocatori è il meccanismo di funzionamento della mente. Deve essere così, sennò avremmo uomini, superuomini, sotto uomini e quaquaraquà, ed avrebbero ragione coloro che hanno coniato quest’ultimo appellativo, e noi non saremmo in una sala biliardi ma in un romanzo di fantascienza. Ciò che invece è personale e unico in ogni giocatore è il materiale che viene immesso nella sua mente e da questa elaborato. Anche questo materiale è formato da un mucchio di fattori: shock di dolore fisico, shock emotivi, educazione, comportamento negli anni dei genitori nei confronti di costui, dei parenti più o meno prossimi, degli amici, delle persone ostili o subdole, e dei secondini. È evidente che il  secondino che custodisce le chiavi della gabbia che il tizio negli anni si è costruito da sé, può essere chiunque, un padre a sua volta aberrato, una zia di famiglia leggermente sadica o una fidanzata piena di malizia. Tutti questi possono influire negativamente sulla vita del giocatore, non solo quando c’è dentro, ma anche dopo che ne è uscito; una madre autoritaria prosegue, anche dopo che è morta, ad esercitare il suo influsso sul figlio piegato e annichilito. L’influsso si può manifestare, tanto per dire una cosa qualunque, in una strana timidezza a fare gli ultimi punti necessari a vincere una partita, visto che per diversi anni il tipo ha dovuto rifiutare qualunque vittoria, anche di poco conto, nei confronti di parecchie persone e soprattutto al cospetto dei suoi tormentatori (veri o presunti), per non essere punito ancor più crudelmente (seppure nella sola immaginazione).  
Ora, mi sembra già di sentire un leggero mormorio di protesta da parte di chi non ha mai sofferto di queste pene. Beh, sono contento per lui; non intendo dire che tutti sono vittime di tali influssi: per affermarlo dovrei conoscerli uno per uno… ma ripeto il concetto con un esempio. In una classe di trenta alunni (come si usava ai miei tempi) è ora del compito d’italiano. Bene, il titolo, l’argomento, è uguale per tutti, come sono uguali gli strumenti per esprimersi, un foglio, una penna e la lingua italiana; eppure, ognuno di quei trenta temi sarà diverso dagli altri.
Allo stesso modo, quella data persona singola non può che esprimere ciò che è custodito in sé, vale a dire  le cause delle proprie anomalie, grandi e piccole o, perché no, del suo perfetto star bene; ma, se quelle cause variamente moleste esistono dentro di lui, potrebbe venirne a capo, se solo le potesse ricordare esattamente così come sono, registrate in qualche angolo buio della sua mente.
Beh, qua e là nel libro c’è qualche riferimento a delle procedure che stimolano i ricordi d’una persona e l’aiutano a migliorare le varie sue attività, e la stessa qualità della propria vita. Ho accennato poi al fatto che per avviare tali procedure ci deve essere una squadra di due persone, fra le quali deve esistere una buona affinità, una sufficiente comunicazione e l’accordo, alla pari, su come interpretare i rispettivi ruoli. Così avremo una di queste che interpreta se stessa, e l’altra che ascolta tale rappresentazione, aggiunge delle domande, amministra il colloquio e controlla che tutto avvenga secondo i modi più favorevoli.
Nell’insieme, si è trattato di brevi accenni che ai più sono passati inosservati, credo, visto che li ho immersi nell’oceano di parole con cui ho inondato questo racconto.  D’altra parte, ho scelto come argomento principale i motivi per cui si sbaglia, piuttosto che i modi adatti a sbagliare di meno, o molto di meno. Ora, leggendo il mio racconto uno può facilmente pensare che, se uno sbaglio è dovuto alle cause più o meno descritte, se ne deduce che ‘basta’ eliminare quelle cause per non sbagliare più, o comunque meno di prima. Beh, certo che è così; ma la domanda diventa allora sempre la stessa: come si fa ad eliminare sul serio quelle dannate cause?
 In altri termini, ho lasciato sotto traccia la questione del miglioramento personale. Perché ho scelto questa strada? Il motivo è che se avessi snocciolato una bella serie di consigli e prescrizioni di carattere psicologico, ne sarebbe venuto fuori, io credo, uno dei tanti manuali del tipo: ‘il relax assoluto in dodici lezioni,’ o ‘imparate a diventare infallibili con una tisana delle Indie Orientali,’ o ‘imitando il trillo del vostro canarino,’ eccetera. O, se avessi usato un tono più serio e grave, avrei magari indotto ad usare diversi accorgimenti che poi per molti non sarebbero neanche adatti ma, ficcati a forza fra le pieghe della mente, avrebbero fatto attorcigliare costoro attorno a queste sedicenti Verità Rivelate, in pratica sostanze tossiche, e avrebbero compromesso il loro già pericolante equilibrio interiore per chissà quanto tempo, con relativo calo delle prestazioni sportive.
In realtà, la questione del miglioramento personale d’un giocatore di biliardo è davvero importante, direi la questione capitale, tanto da dovercisi avvicinare appoggiando con cautela il bagaglio contenente le conoscenze specifiche; stando attenti cioè di sistemarlo con delicatezza accanto a lui e non sbatterglielo sopra  opprimendolo o comunque procurandogli disagio.
Poi, estratti dal bagaglio gli strumenti appropriati per quell’individuo specifico, egli non può che migliorare; ed il miglioramento avviene a gradi e scossoni, e secondo gli aspetti più diversi, spesso inaspettati. Gli strumenti sono parole e domande adatte, la cornice di lavoro è un colloquio amichevole; alla fine, si potrebbe affermare che la condizione minima in cui si troverebbe il giocatore che esce da tali colloqui sarebbe già soddisfacente, perché lo renderebbe consapevole della vera natura dei propri sbagli, e gli si  attenuerebbero le ferite per sbagli antichi. Tanto per capirci, egli capirebbe che lo sbaglio fatto nella partita di ieri sanguina copiosamente e procura dolore perché è alimentato dal sangue ancora fresco di vecchie ferite precedenti mai rimarginate; e che tutto ciò provoca una paura cronica dello sbaglio. Aggiungerei paura irrazionale, nel senso che quando essa è cronica, il giocatore la teme più dei valori reali che l’alimentano; come dire che ha paura della paura.  Allora, tamponiamogli quelle ferite vecchie, se lui è d’accordo, cancelliamo o limitiamo la paura di sbagliare sul biliardo in quelle date posizioni; ed ecco che anche la ferita più fresca  si rimargina con una certa velocità e, sul punto in cui faceva male e non smetteva di sanguinare, ora il nostro amico sente solo un leggero prurito.
Aldilà di spiegazioni immaginifiche, In pratica succede all’incirca così (fatte salve tutte le possibili, infinite varianti): egli  ha giocato ieri sera una partita importante ed ha perso per un tiro che di solito non sbaglia quasi mai. Mettiamo che si trovi generalmente in una condizione di spirito media, diciamo comune alla maggioranza dei giocatori, il che significa una condizione piuttosto sgradevole; beh, in questo caso comincerebbe a sacramentare dentro di sé appena finita la partita e continuerebbe tutta la sera, poi dormirebbe poco e male e, la mattina dopo, il primo pensiero che lo attanaglia sarebbe quello del tiro sbagliato malamente, e del dispetto provato, e della vergogna subita, eccetera. Andrebbe col pensiero in giro con irritazione a cercare il perché, ne troverebbe tanti che al momento gli sembrano calzanti ed invece sono alquanto risibili; poi se la prenderebbe con se stesso anche se in modo generico, vomiterebbe un altro getto di cause, stavolta dovute a se stesso, anche queste futili, le quali in più assumono delle sfumature di giustificazione anziché di causa; e alla fine se la caverebbe meditando vendette tremende per la prossima partita con quell’antipatico del suo avversario. E questo è il solito Inferno, che noi giocatori conosciamo anche troppo bene.
Ora, dall’Inferno proviamo a passare al Purgatorio.
Facciamo finta che quel giocatore abbia parlato non molto, ma fittamente, con una persona che vede la cosa un po’ come me, diciamo; e che sa come sguazzarvici dentro. Mah, alla fine egli presumibilmente sarà orientato, al posto di spaccare tutto ciò che rientra nel suo raggio visivo, a cercare con più ragionevolezza i motivi dello sbaglio fatale. Ci penserà sopra, ma sul serio, e troverà che nel tiro precedente (il penultimo) aveva trascurato la fase 3, quella di verifica dei calcoli. Si trovava in piedi già vicino alla propria biglia, le altre due erano lontane, lui ha guardato un po’, ha mirato ed ha colpito la b2 abbastanza bene ma non benissimo. Questo ha permesso all’avversario, bravo di suo, di fare il filotto raggiungendolo nel punteggio; diciamo entrambi a sei punti dalla vittoria. Tocca al Nostro; le biglie si presentano in una posizione non facile, ma possibile: sarebbe fattibile la carambola (4 punti) e, forzando il tiro, mandare la b2 nel castello o almeno lambirlo o insomma buttar giù un qualunque birillo, anche solo per lo spostamento d’aria, per ottenere la vittoria. Si tratta d’un tiro che il Nostro ha nella sua faretra personale, e la percentuale di colpire il bersaglio minimo con quella freccia è rassicurante. L’amico si mette in posizione, brandeggia con una certa sicurezza ma all’ultimo momento si pente dei calcoli appena fatti, all’ultimissimo momento modifica leggermente le traiettorie, ed ecco il patatrac.
Ora, l’aver correttamente scoperto da sé l’intera sequenza, magari dopo averne ricevuto l’impulso dal suo interlocutore,   non cambia il fatto che la sera prima ha perduto, ma produce in lui due interessanti stati d’animo. Il primo è che l’ira funesta si è trasformata in ragionamento consapevole, che è molto più funzionale. Il secondo è il proponimento di lavorare sulle fasi di gioco, a diversi livelli. Il livello più basso in questo caso, ma non meno efficace, riguardava la fase 3, in cui avrebbe dovuto fare la fatica, più che giustificata dal momento delicatissimo della partita, di partire vero l’altro lato del biliardo e osservare attentamente di quanti cm reali discostava la b2 dalla sponda. Un livello superiore è nella fase 7, in cui egli deve resistere ad un attacco irrazionale, che si manifesta con le subdole sembianze della paura di sbagliare e lo fa dubitare dei suoi stessi calcoli, che poco prima aveva battezzato esatti. Non è facile resistere a questo tipo di sbaglio, anche perché l’irrazionalità colpisce in modo fulmineo, come una serpe. Eppoi, in fin dei conti siamo ancora in Purgatorio, dove le anime dei giocatori, pur salendo verso la Grazia, e sorrette, più che da certezze interiori, da una ragionevole speranza, rimangono pur sempre fallibili.
Poi, nel Paradiso dei giocatori succedono altre cose strane. Certo, non avviene che tutti gli abitanti di questa zona vincono sempre e comunque (altrimenti ci sarebbe da chiedersi come fanno due Paradisiaci che giocano fra di loro a vincere entrambi); non perdiamo di vista tutti quei famosi fattori squisitamente umani. Ma la cosa strana è che un tizio promosso  Paradisiaco è avvantaggiato di molto rispetto ad un Terrestre comune, pur essendo, mettiamo, entrambi dello stesso livello tecnico; ovvero, non lo saranno più dopo che, avendo giocato uno contro l’altro una mezza dozzina di volte, il Terrestre avrà perso 5 a 1. Come si può spiegare ciò in termini comprensibili? Beh, una risposta è che entrambi avevano la stessa potenzialità, ma uno l’ha usata per decollare, l’altro non l’ha usata, ed è rimasto a livello del suolo. La seconda domanda sarebbe: come ha fatto colui a utilizzare così bene le risorse potenziali? Risposta: eliminando le scorie. E qui ci siamo, ragazzi: egli è stato aiutato a scoprire le proprie scorie e a farne polvere; non tutte le scorie immagazzinate, ci mancherebbe. Ma solo un mucchietto magari, quello del calcio di tre sponde, o due mucchietti, o parecchi, tutti ridotti in polvere e succhiati via dalla propria mente, per sempre.  
Con questo, cari colleghi, credo di essere stato un po’ più esplicito; non so, non credo di essere stato completamente esplicito nei confronti dell’ottimo amico Omeris i cui dubbi, lo ripeto, rappresentano per me uno stimolo a  ricercare percentuali via via maggiori di verità, e non surrogati di essa rimediati alla buona.




Grande Sergio!
ti ammiro.
mario traversa
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda mingabun » martedì 30 luglio 2013, 10:30

Non vorrei essere scortese nei confronti di tutti questi adulatori
credo che al centro di tutto (a parte tutte le memorie genetiche) che ognuno di noi si porta dentro ci sia la voglia di imparare e la cultura sportiva che purtroppo non fa parte del bagaglio del 90% dei giocatori non solo di bigliardo ma di tutti gli sport praticati in Italia . Se cominciassimo ad apprezzare le qualità dei ns avversari e ad ammettere le ns mancanze cercando di migliorarci avremmo qualche problema in meno e un po' di conoscenza in più
mingabun
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Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda bracciostorto » martedì 30 luglio 2013, 12:31

mingabun ha scritto:Non vorrei essere scortese nei confronti di tutti questi adulatori
credo che al centro di tutto (a parte tutte le memorie genetiche) che ognuno di noi si porta dentro ci sia la voglia di imparare e la cultura sportiva che purtroppo non fa parte del bagaglio del 90% dei giocatori non solo di bigliardo ma di tutti gli sport praticati in Italia . Se cominciassimo ad apprezzare le qualità dei ns avversari e ad ammettere le ns mancanze cercando di migliorarci avremmo qualche problema in meno e un po' di conoscenza in più

L'ammirazione nei confronti del Sig. Vidotto è relativo al fatto che egli ha condiviso il suo lavoro con tutti noi utenti del forum. I contenuti di questo lavoro a me piacciono così come ritengo corrette le tue osservazioni.
bracciostorto
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