RSS Facebook Twitter

"Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vidotto

Tecnica, tattica, sistemi e materiali di gioco

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda svfrang26 » mercoledì 28 agosto 2013, 11:04

(Anche se in ritardo) anch'io ringrazio il sig.Vidotto e Fabrisoft
svfrang26
Non connesso
Nuovo Arrivato
 
Messaggi: 2
(Cerca: tutti)

Iscritto il: martedì 6 maggio 2008, 17:35

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda sergio vidotto » lunedì 2 settembre 2013, 16:44

Cari colleghi,
    mi sto rendendo conto che il dibattito, che è stato reso fertile dai vostri interventi, ha raggiunto ora una piena maturazione, cui sta subentrando una fase di attesa, seguita presumibilmente dalla fine del ciclo. La spiegazione di tale andamento non è difficile. Fra l’altro, tutti coloro che hanno seguito l’argomento sono più o meno d’accordo che la mente sia, se non l’unica, almeno una delle cause importanti riguardo a ciò che vorremmo conseguire nel gioco del biliardo. Ora, girato e voltato questo concetto un po’ da tutte le parti, e basti come esempio l’ultimo intervento di Ematerz, peraltro attendibile, credo che a questo punto un po’ tutti si chiedano come si potrebbe superare questa fase. In altre parole, ci si chiede se tale concetto sia una cosa principalmente teorica o  possa tradursi alla fine in qualcosa di tangibile, qualcosa cioè che si possa normalmente applicare nella pratica, e sia  utile ad un giocatore.
    Bene, sono qui per dare una risposta a tale domanda.
    Ci sono dei procedimenti abbastanza precisi che si attuano nei confronti d’una persona. Da questo punto di vista sono d’accordo con quanti avevano avanzato quest’ipotesi, primo fra tutti Luigi: anche per me la squadra ottimale è formata da due persone, ovvero, è il tipo di rapporto in cui si ottiene il massimo rendimento. Con un’avvertenza: bisogna conoscere le procedure adatte ad ottenere un simile rendimento.  
    Proviamo a guardare meglio quel lavoro di coppia accennato da Assoferro e proseguito da Luigi. Direi che concertare così, da buoni compagni di avventure, su una partita in cui c’è stato qualche sbaglio di troppo, può anche portare ad un buon risultato che però rimane collaterale, quasi mai decisivo. Per capirci, sono risultati che consistono in un senso di conforto, o di grato sollievo,  addirittura di un palpito di gioia condivisa con l’amico che si è speso per seguirti così bene, il tutto condito magari con una ricca cena ed un buon bicchiere di vino. Oppure, dei risultati  possono saltar fuori da un confronto abbastanza serio, in cui alla fine si concorda, tanto per fare un esempio, che la gran parte degli errori dipende da una sbracciata leggermente anomala, e si stabilisce che basta ad ogni colpo stare attenti a non fare quel movimento nocivo. Il che ha un certo valore a livello tecnico, diciamo, ma è generalmente labile perché quel proponimento sulla sbracciata difficilmente ne cancella altri precedenti, ma vi si aggiunge; e poi, nella realtà del gioco basta un’inezia perché questo nuovo affondi, sommerso dal mare di adempimenti  fisici e mentali, freschi e stantii, veri o presunti, che già premono sul giocatore. È una vecchia faccenda, questa dell’innestare migliorie tecniche nel meccanismo di un giocatore: ora, se il tipo è davvero convinto che una tale novità sia perfettamente adatta a lui, ed è molto ostinato nel perseguirla, beh, dopo qualche mese di sofferenza potrà anche avere un effettivo miglioramento nel gioco; ma se non si possiedono in pieno queste due caratteristiche, convinzione e tenacia, ciò che purtroppo rimarrà dell’esperimento sarà solo un po’ di confusione in più.
    Insomma, amici, è certamente gradevole ricevere una pacca sulle spalle da chi si cura di noi; ma sembra che per incidere davvero sul gioco di un individuo serva qualcosa di più. Dovrebbe succedere qualcosa per cui uno si guardi in giro, stupito, e dica, che so: ‘Cacchio, questo non me lo sarei mai aspettato!’ o cose del genere. E non basta: dovrebbe rimanere in quella convinzione anche dopo aver passato un po’ di tempo sul biliardo e sostenuto alcune belle battaglie.
   Ed ora vediamo di procedere verso il nocciolo della questione. Devo confessarvi che il mio stato d’animo non è tranquillo. Non sono sicuro di potermi spiegare in modo compiuto. Fra l’altro, non avrei palesato nulla di ciò che sto per dire, se l’interesse per il racconto si fosse esaurito in qualche settimana. Ma ora che la questione, dopo quattro mesi, è ancora aperta ed anzi richiede dei passi avanti, non  mi posso rifiutare di farlo.
    Del resto, qualcosa su dove si andasse a parare è presente qua e là nello stesso racconto; la cui mole così imponente basterebbe da sola a mostrare che c’è qualcosa di solido che la sorregge. È difficile che tutta quella roba sia frutto di fantasia, o di intuizioni messe lì, così, nella speranza che coincidano con la realtà.
    E allora, posso affermare che la struttura che regge tutto quanto è effettivamente solida, è stata sperimentata in diversi campi e si può applicare a chiunque in qualsiasi evenienza. Si tratta di grimaldelli universali, tanto per dare una definizione.
    E qui si arriva ad una questione per me delicata, che è stata la causa vera del mio tergiversare, del dire e non dire, del tentativo di rimanere in una posizione neutra, che non può rimanere tale per sempre, perché nel tempo tutto si evolve, comprese le più granitiche intenzioni.  
    E dunque devo sottovoce affermare di conoscere delle tecniche che effettivamente possono innalzare la capacità sportiva d’una persona; ma nello stesso tempo in cui lo dico, mi rendo conto che ciò che sto esprimendo sono solo parole, simili a quelle di chissà quanti altri che hanno garantito, a torto o a ragione, quegli stessi miglioramenti ed anzi molto di più.
    Ciò che può differenziarmi è forse l’intonaco, vale a dire lo stile che uso per spiegarmi, diverso magari da proclami roboanti e gonfi di sicumera di altri personaggi più disinvolti di me. Ma, dico: basta una mano di pittura per convincere qualcuno che la Chimera esiste e può essere a portata di mano? Beh, temo di no.
    I giocatori di biliardo sono persone pratiche. Di solito, si fanno questa domanda: ‘di ciò che ho provato a fare, cosa è utile per me? cosa mi aiuta a vincere una partita?’ Ecco, è difficile che, nel momento in cui si prepara ad un torneo o a qualche partita pesante, uno si chieda cosa sia utile per l’umanità.
    Ora, per quanto riguarda me come dispensatore di utilità, c’è da fare una distinzione ben precisa, un po’ ardua da spiegare.  
    Cominciamo così: il mio racconto può essere  utile in senso generale diciamo, indifferenziato, perché effettivamente contiene parecchie verità comuni a tutti, cose verificabili da chiunque abbia un po’ di voglia di farlo; e mi sembra di capire che alcuni di voi si sono identificati in qualcuna in queste, o hanno scoperto di averle già pronte nell’animo mentre prima non erano ben sicuri di averle, e verosimilmente ne hanno avuto una certa soddisfazione, seppur passeggera.
    O magari è stato utile perché in certi pezzi qualche lettore vi ha trovato certe cose che potevano assomigliare a delle novità, e ciò gli ha risvegliato un blando interesse, e così è stato indotto magari a sperimentarle per conto suo.
    O è stato utile per farvi passare il tempo in attesa del film in seconda serata, e l’avete impiegato abbastanza volentieri perché parlava di un vostro sport, e tutto sommato non dovevate fare una gran fatica perché la lettura scorreva abbastanza liscia.  
    Bene, grosso modo, questo è ciò che io vedo in quanto ad utilità del mio racconto.
È difficile paragonarlo ad altri, perché i manuali che trovate in giro trattano solo di biliardo o solo di tecniche per migliorare lo stato di salute mentale, tecniche da farsi comodamente a casa vostra. Mah, i manuali di biliardo sono senza dubbio interessanti, e credo che non ci sia un giocatore in Italia che non ne abbia letto almeno uno; ma fra tutti voi, c’è qualcuno che sia sicuro di aver  migliorato il proprio gioco dopo averne letto uno? E, passando al secondo tipo di manuali, esiste qualcuno che creda veramente alle auto-pratiche mentali, pure suggerite  in maniera convincente da libri di psicologia spicciola o di meditazione cosmica?
    Vedete, l’individuo ha un interesse spiccato e persistente per una cosa specifica, ben più di ogni altra. Questa cosa è se stesso.
E dev’essere così, perché in ultima istanza è lui che decide se una pratica gli è utile o meno; e, sebbene a volte non ne sia consapevole, è lui che decide se migliorare o no.    
    E dunque, per ottenere qualcosa di concreto, non c’è che lavorare sul singolo. Naturalmente, lavorare su uno che ha già un buon bagaglio di conoscenze attendibili facilita l’impegno di chi ci lavora sopra, e aumenta le probabilità di ottenere sul serio qualche risultato.    
    Per ottenerlo sul serio, non si deve tentare di convincere la persona che è diversa da com’è, né di cambiare alcunché rispetto a prima (che sia il carattere, i sentimenti o il colpo di stecca), ma di fare in modo che essa riesca semplicemente a guardarsi dentro e magari scoprire cose di sé che forse non sospettava minimamente di avere.
    L’ho detto già diverse volte: i meccanismi della mente sono uguali in ciascuno di noi. Ma ora aggiungo che neppure serve saperlo, perché ad uno non interessa granché il nome di tali diavolerie, né il modo in cui queste lo spingono ad agire in una certa maniera e gli fanno provare emozioni e dissesti mentali grandi, piccoli o medi; a lui interessa il risultato, e aspetta che qualcuno glielo porga. E qui, di passata, troviamo un'altra questione alquanto spinosa, che è la seguente.
    Tutta la faccenda mette in una posizione di grande responsabilità colui che segue una persona: sarà davvero capace egli di ottenere per questa persona un beneficio, grande o piccolo che sia, o perderà tempo inutilmente lasciandola nelle stesse condizioni di prima o, ancor peggio, le procurerà dei danni?  
    E qui, come potete capire, si apre un enorme interrogativo se esistano delle tecniche giuste, quali siano e chi sappia interpretarle al meglio. Bene, questa è una di quelle questioni di cui si può avere un riscontro solo dopo averle sperimentate; perciò, è inutile accennare ad eventuali vittorie passate, magari testimoniate da gente che verosimilmente quella persona non conoscerà mai. Capite, nella presentazione, tanti metodi possono teoricamente avere le stesse probabilità di vittoria, come i cavalli allineati  alla partenza di una corsa; tutti messi alla pari, compresi quelli drogati fino alle orecchie. E allora?
    Beh, ci sono degli accorgimenti preliminari che possono aiutare a decidere cosa si presenti utile o no, e in che misura. Come dire, già dal primo quarto d’ora del colloquio uno intuisce da che parte tira il vento, e decide se quella parte va bene per lui.
    D’altro canto, se abbiamo nel mondo un enorme, agguerrito esercito di individui più o meno decorosi che sbavano per ‘aiutare’ il prossimo, è perché la mente d’una persona non è in grado di guarirsi da sola. È una questione naturale: la mente non va negli angoli dove sono riposti sofferenze e dolori assortiti; e se alle volte arriva quasi a sfiorarne uno se ne ritrae subito, proprio perché è istintivo rifuggirne, allo stesso modo in cui si ritrae  di colpo la mano che ha sfiorato qualcosa che scotta.
    Del resto, se la mente riuscisse a compiere simili imprese, in questo mondo non ci sarebbero più aberrazioni, disagi assortiti, tic vari, balbuzie, stati d’ansia e centri di igiene mentale, e gli psichiatri dovrebbero trovarsi un lavoro finalmente onesto. Così   una persona, se cerca di migliorare la sua condizione, non può fare altro che cercare un aiuto esterno; e dev’essere uno che tenga la barra dritta verso quei determinati angoli. Ma se invece caschi con chi ti interroga sui tuoi pifferi, e dopo un’oretta che ti conosce già comincia a stabilire cosa sei e perché lo sei, beh, non mi sembra che costui si presenti in modo rassicurante.
    Più rassicurante appare uno che cerca di far aumentare ad una persona la conoscenza di sé, senza interferire con commenti e giudizi. La differenza fra i due metodi è più grande di quanto sembri. Per spiegarla meglio, eccovi un esempio molto serio.
    Se Robinson Crusoe avesse convinto Venerdì sull’idea che, quando prendeva per sé una noce di cocco, doveva prima portarne due a lui, beh, l’allievo avrebbe visto questa situazione da un punto di vista di un’azione fisica leggermente faticosa, diciamo (per una sola noce basta un piccolo sforzo, per due ce ne vuole di più, e si impegnano entrambe le mani), più che di una questione matematica. Ma se Crusoe gli avesse insegnato con pazienza le quattro operazioni, in modo da fargli capire che per qualunque cosa a lui spettava il doppio dell’altro o, in altre parole, non appena questa cosa si potesse rendere divisibile per tre al maestro andavano due parti e all’allievo una sola, ecco che all’amico Venerdì (che era un intellettuale in potenza) si sarebbero potute aprire le grandi porte della mente, e da quelle semplici operazioni avrebbe potuto dedurre catene di pensieri che l’avrebbero portato a chissà quali altezze.
    E dunque cari amici, noi tutti siamo dei Venerdì che spesso arrancano nel loro isolotto alla ricerca di un Crusoe privato; a volte siamo testardamente convinti di conoscere tutto ciò che serve senza però riuscire ad allineare tali conoscenze con il nostro basso rendimento, altre volte  siamo rimasti lì a chiederci mille perché, magari abbiamo avuto qualche maestro occasionale che ci ha dato delle indicazioni, o ci siamo arrangiati da soli cercando di imitare nei colpi di stecca qualche giocatore bravo; e alla fine, seppure di un poco, molti di noi sono riusciti davvero a migliorare, altri poco. Così siamo distribuiti nelle varie categorie  e solo alcuni di noi sono Master; il che significa ancora una volta che la somma totale delle svariate condizioni di gioco e di vita è diversa per ogni individuo.
    Ecco, in quanto a questo (categorie a parte), io sono stato più fortunato di molti altri: conosco delle cose che al momento pochi sanno, e posso utilizzarle con un certo profitto sul mio prossimo, più che su me stesso; la qual cosa sembra strana a prima vista, ma i più attenti fra voi ricorderanno che ogni volta che ho toccato quest’argomento ho parlato di uno che aiuta un altro, e mai di qualcuno che aiuta se stesso, anche se quest’ultima sarebbe un’operazione non trascurabile. Ora infatti posso aggiungere che uno può anche riuscire a volte e a certe condizioni ad aiutarsi da solo, ma non con la stessa intensità assaporata da una seconda persona, di cui magari egli stesso si sta occupando.
    Così, se qualcuno ha la curiosità di sapere quale sia il mio vantaggio personale rispetto ad altri, questo non consiste nel riesumare ricordi da solo, in quanto anch’io per accedere ad episodi miei che contengono disagio avrei bisogno, come tutti, di un tizio dotato di conoscenze almeno pari alle mie. Ma consiste piuttosto nel fatto che queste conoscenze mi regalano delle facoltà come la consapevolezza, la serenità, una certa forza d’animo di fronte alle avversità, e così via. Alcune sono caratteristiche di lotta, si può dire, altre superano lo stesso concetto di lotta, ma tutte si devono coltivare con costanza, e non sempre bastano a sostenere gli scossoni della vita. E infatti a volte succede che se ne venga al momento sommersi, ma ben presto si riemerge, e quegli scossoni patiti vengono automaticamente ridimensionati, perché semplicemente si è capaci di riconoscere la natura di cui erano fatti.
    Ma il vantaggio vero, tangibile è quello della persona che viene indotta a ricordare. Il fatto di ricordare episodi completamente dimenticati e inaccessibili e di  riprenderli al presente, ne smagnetizza gli effetti a lungo provati senza saperne la provenienza, e riabilita la persona, almeno sulle conseguenze patite riguardo a quegli episodi.
    Bene, cari colleghi, ho detto ciò che mi sembrava di dover dire. Mi sembra sufficiente a chiudere quel ciclo di cui ho fatto cenno all’inizio, ed aprirne magari uno nuovo, che a sua volta può finire già con questo stesso scritto, o durare anch’esso per un periodo imprecisato: ho rinunciato a fare previsioni su questi argomenti.
sergio vidotto
Non connesso
Utente
 
Messaggi: 8
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 3 maggio 2013, 22:16

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » lunedì 2 settembre 2013, 17:32

Ringrazio ancora il Sig.Vidotto a rischio di diventare monotono.
Trovo nei Suoi concetti un velo, pur affascinante e carico di mistero, che voglio provare a sollevare, con gran rispetto e prudenza.
Nel mio vano peregrinare alla ricerca di una spiegazione e di un rimedio trovo :
L’ansia agonistica presente negli atleti può avere riflessi positivi o negativi sulla performance sportiva, a seconda della sua intensità.
Esiste una stretta correlazione tra tensione-ansia e performance, che può essere rappresentata graficamente con una curva ad U rovesciata, definita anche come legge di Yerkes e Dodson (1908).
La performance ottimale si ha ad un livello moderato di emotività (ansia positiva): un aumento o una diminuzione di tale livello genera effetti negativi.
Nello specifico, senza tensione mancherebbero livelli adeguati di motivazione e di interesse alla competizione, nonché la spinta ad attivare positivamente le proprie forze; d’altra parte, troppa ansia inibisce l’attività, in quanto mette in moto solo attività di difesa.


A questo punto vengo al sodo e  domando a tutti Voi come riuscire a contenere questa emotività necessaria e utile in un limite positivo, pur utilizando sostanze adeguate senza cadere nel doping .
Mi rendo conto che tale domanda andrebbe rivolta ad esperti psichiatri, ma trattandosi di un percorso lungo e non privo di ostacoli e rischi, chiedo a chi l'avesse già sperimentato magari con successo, di voler qui suggerire qualche consiglio, opportunamente dettato da una precisa esperienza.
Ringrazio sentitamente chiunque partecipi alla discussione e al confronto di opinioni e notizie in questo senso.

omeris
Ultima modifica di omeris il domenica 8 settembre 2013, 12:57, modificato 1 volta in totale.
omeris
Non connesso
Avatar utente
Utente Super Sajan
 
Messaggi: 2593
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 29 febbraio 2008, 19:30
Località:

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » lunedì 2 settembre 2013, 19:38

a mio parere non esiste un'ansia positiva o negativa
Ho sentito dire: ci vuole la tensione giusta ma non troppa
Bisogna incanalare la tensione!
La tensione mi viene solo se perdo, quando vinco non sò neanche cosa sia
Devo trovare il modo di eliminare le emozioni?
C'è una cosa sola che voglio assolutamente:migliorare!
Forse questo è già un passo avanti?
q.i.171 caccia al birillo rosso e difesa di ferro
Cerco di studiare,applicare e sperimentare al meglio delle mie possibilità:
tecnica,didattica, matematica e strategie applicate al gioco del biliardo.
....più conosco e meno mi sembra di sapere!!!
....però... più conosco e meglio sto!!!
asso ferro
Non connesso
Avatar utente
Utente Senior
 
Messaggi: 147
(Cerca: tutti)

Iscritto il: sabato 24 novembre 2012, 13:52
Località: canonica lambro ( mi )

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda rik » lunedì 2 settembre 2013, 20:12

credo sia utile anche parlare con l'avversario a fine gare oltre che con un amico che ti segue
rik
Non connesso
Utente Super Sajan
 
Messaggi: 4646
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 3 novembre 2006, 13:32
Località: Milano

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » mercoledì 4 settembre 2013, 14:47

asso ferro ha scritto:La tensione mi viene solo se perdo........


Interpolando, può darsi, invece, che tu perda perchè subentra anche un'eccessiva tensione ?  :stelle:
Ultima modifica di omeris il mercoledì 4 settembre 2013, 14:47, modificato 1 volta in totale.
omeris
Non connesso
Avatar utente
Utente Super Sajan
 
Messaggi: 2593
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 29 febbraio 2008, 19:30
Località:

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda sergio vidotto » sabato 7 settembre 2013, 14:23

Rispondo pubblicamente ad una persona che mi aveva scritto in privato e di cui, data la mia indegna imperizia, non riesco più a rintracciare nel web.

   Caro amico,

   ti rispondo con piacere, anche se purtroppo devo mantenermi, come si dice, sulle generali, in quanto le tue domande sono talmente classiche, e gravide di argomenti, da abbracciare da sole gran parte del mondo del biliardo.
    Ed ora qualche piccola precisazione. La prima: non vivo a Roma, e mi piacerebbe tanto. Vivo invece a Trieste. Seconda: sul biliardo, la specialità dell’Italiana la conosco solo per averla vista, seppure con una certa attenzione; sono invece un buon giocatore di carambola, anche se il mio livello di gioco non coincide con le mie conoscenze, quelle stesse che mi permettono invece di migliorare un po’ le condizioni generali e di gioco d’una seconda persona. Questo perché i vari procedimenti si possono rivolgere ad un interlocutore, e solo vagamente su se stessi. Terza: non sono propriamente un istruttore tecnico. Lo fui in un passato abbastanza lontano ed ho poi abbandonato l’idea, considerandola poco fruttuosa per gli allievi, salvo qualche eccezione; di questo probabilmente farò cenno più avanti, se lo scritto non sarà troppo lungo, come temo.
    Ed ora eccoci al tuo primo argomento. La tua attenzione si manifesta a fasi alterne e, aggiungo io, anche quando ce l’hai, si mostra probabilmente ad intensità variabile. Beh, io ovviamente non posso dirti niente di circostanziato: assomiglierei molto alle cartomanti televisive che ti predicono il futuro personale senza mai averti visto e conosciuto di persona. Ti farei invece a mia volta delle domande, del tipo: a cosa pensavi quando non eri attento; oppure, su cosa fermi l’attenzione, quando essa ti sfugge dalla partita in corso?
    Si tratta di domande cui a volte si può rispondere, altre volte no, perché succede che si dimenticano istantaneamente i pensieri di poco prima, allo stesso modo in cui  svegliandosi la mattina si dimentica il sogno appena fatto. In ogni caso, la questione di fondo non cambia, e riguarda la causa per cui i pensieri vagano in giro al posto di rimanere lì, sul gioco. Mah, qui si tratta evidentemente di una questione mentale, o psicologica, se vuoi chiamarla così; ed è ricorrente in quasi tutti i giocatori e gli atleti di qualunque sport. Come si fa a guarire da ciò? Certi manuali consigliano delle pratiche mentali da farsi prima, durante e dopo la partita; certe sono interessanti da un punto di vista intellettuale, diciamo, ma tutte hanno, secondo me, il piccolo difetto di imporre una disciplina al giocatore. Vale a dire, uno durante una partita deve già stare attento a tante cose; in più, dovrebbe stare attento a svolgere in modo corretto le pratiche per fare attenzione. Aldilà di questo piccolo paradosso, è intuitivo che meglio di tutto sarebbe semplicemente eliminare le cause che provocano questa fastidiosa defezione. Beh, il sistema esiste, ed è fitto di procedure che vanno dritte verso il bersaglio. La caratteristica preliminare è che il sistema è rivolto ad una persona singola, perché la riuscita è legata al ripristino di alcune capacità personali che al momento sono impastoiate da qualcosa che solo quella persona ha in quel dato modo ed in quella sequenza particolare, un po’ come si configura il D.N.A.
    Secondo argomento: tu dici che spesso non riesci a trovare lo stimolo a battere certi avversari che sai inferiori a te e così va a finire che perdi la partita. Ecco, la tua è un’affermazione che mi ricorda una delle tante situazioni maledettamente tipiche; e dire  ‘non trovo lo stimolo’ diventa un semplice eufemismo. Ovviamente, non sapendo quasi niente di te, non sono sicuro che sia il tuo caso, ma generalmente la faccenda, detta in breve, si svolge nel seguente modo. Allora, c’è uno che sa di essere superiore ad un avversario il quale però, nonostante questa evidenza, giustamente si dà da fare per vincere la partita; tale daffare mette il più forte  in un certo imbarazzo: quanto impegno mettere? Ora, attenzione: se egli comincia a formulare dei pensieri ‘comodi’, come  preferire, o sperare che quella superiorità sull’avversario semplicemente salti fuori senza grandi sforzi da parte sua, ecco che ha cominciato a scavarsi la fossa. Il fatto è che i pensieri di quel tipo servono tutti allo scopo di schivare il problema.  In pratica, egli rifiuta di prendere responsabilità per quella partita, e questi pensieri comodi (e sono tanti) semplicemente giustificano un’assenza di responsabilità, e tendono ad invalidare il pensiero principale che vi si nasconde dietro: ‘Se io mi impegno al massimo e succede che per qualche strano motivo perdo ugualmente la partita, la mia superiorità rispetto all’avversario si assottiglia, e magari se ne perdo ancora un’altra sparisce del tutto. Così finisce che mi vedo davanti un tizio, che secondo me mi è tuttora inferiore, il quale mi guarda con un sorrisetto beffardo per significare che non solo è arrivato alla mia altezza, ma addirittura mi ha sopravanzato.’
    Insomma, tali pensieri e ragionamenti sono dettati da emozioni sfavorevoli, come l’insicurezza, il timore di non riuscire a dimostrare le proprie doti, la paura di fare una brutta figura dinnanzi all’avversario e a tutti i presenti. Si tratta di una situazione cui si può assistere abbastanza di frequente. C’è lì uno forte che gioca con uno più debole che gli sta alle costole; allora vedi quello forte che si mostra annoiato, si guarda in giro con aria assente, quando tocca a lui tirare lo fa in fretta ostentando indifferenza, eccetera; nell’insieme, ciò che vuole trasmettere è un messaggio di questo tipo: ‘ma guardate come si impegna questo esaltato d’un mio avversario, non ha capito che io sto giocando così, tanto per fargli un favore.’
    Ecco, è un atteggiamento tipico, ed in quelle determinate situazioni  si manifesta puntuale, ed anche se ci sono mille piccole variazioni sul tema,  tutte confluiscono in quello stesso concetto: il tizio non si assume la responsabilità della partita; ovvero si rifiuta di essere causa della partita, ne perde il controllo e così ne diventa effetto.
    Ora, cosa avrebbe dovuto fare per diventare causa? È semplice: avrebbe dovuto decidere di giocare al meglio delle sue capacità; così avrebbe vinto la partita, e l’impegno profuso sarebbe stato un ottimo allenamento in vista di prove più importanti. E se avesse perso ugualmente? Beh, l’occasione di perdere è sempre in agguato; ma l’atteggiamento migliore rimane quello di prendere la cosa con serenità, e fare una disamina sulle cause tecniche, diciamo, della sconfitta. Vedi, caro amico, siamo noi stessi con le nostre considerazioni personali ad ingigantire i nostri problemi. Siamo noi che soffriamo troppo, e inutilmente, per il rischio di una debolezza mostrata agli altri, i quali dal canto loro ne rimangono quasi del tutto  indifferenti e lontani. Per questo ho parlato di serenità; è uno stato d’animo che scaccia quelli negativi, uno stato d’animo che ti permette di risollevarti facilmente da qualunque sconfitta. Ma dove si può trovare un mezzo etto di serenità? E una volta afferrata, come si fa a mantenerla? Rispondo come nei vecchi giornaletti tascabili di Tex Willer: ‘Lo saprete al prossimo episodio.’ Non so se hai maneggiato quei tascabili degli anni Cinquanta; credo di no. Bene, erano giornaletti a strisce, e contenevano a malapena un piccolo episodio del nostro eroe; così devo fare io, altrimenti ne rimarrei sommerso.
    Ultimo argomento: la meccanica. Eh, anche qui si aprirebbe una voragine di spiegazioni; vedo di farla più breve possibile. Del resto, molto di questo argomento è già presente nel mio racconto. Ti parlo allora di una cosa che mi sembra non ci sia.  
    Per intanto, ecco Gomez. È un nome già citato nel forum, ad opera di una persona che poi ha trasceso, sembra, aggiungendo qualcosa per cui ha subìto una censura; non so cos’abbia detto, ma tutta la cosa mi è sembrata molto spiacevole. Comunque sia, resta il fatto che il signor Gomez, pluricampione mondiale a quanto so, si presta ad istruire tecnicamente i giocatori ed è considerato uno dei massimi esempi in questa attività di istruttore. Se è così, la faccenda diventa abbastanza spinosa per me, perché non voglio certo mancare di rispetto al sig. Gomez, ma tuttavia sono costretto a dire la mia su questo tipo di insegnamenti. Anzi farò così: non parlerò propriamente di lui, di cui fra l’altro non so praticamente niente, ma dei campioni in generale; e in particolare dei campioni di carambola, che conosco un po’ di più.
    E dunque, vedi giocare ‘sto campione bello, elegante, bilanciarsi in perfetto equilibrio, lanciare la stecca come se facesse parte del proprio corpo, eccetera. Ma quell’assetto meraviglioso può andar bene solo per lui, o anche per pochi altri Eletti, o per tutti?
    Beh, lui ha una visione generale di ciò che serve a giocare bene, e questa visione è giustamente incrollabile. Di questa egli tende a far partecipare ogni allievo che gli capita sotto mano. Ora, abbiamo diverse cosette che fanno parte di un giocatore.
    La posizione del corpo: sistemare le gambe, drizzare la schiena, ecc.
    L’impostazione: impugnatura, visuale, punterìa, meccanica dei movimenti, ecc.
    Accorgimenti vari: mettere attenzione al tiro, guardare solo la biglia, non pensare alla zia morente, ecc.
    Ora, un bel giocatore di prima categoria è disposto a cambiare una gran parte di ciò, se non tutto?
    In altre parole: qui ci sono due condizioni necessarie, una è che l’allievo rimanga folgorato dalla convinzione che quei cambiamenti siano perfettamente giusti per lui; l’altra che l’insegnante azzecchi proprio quei cambiamenti. Se queste due cose non coincidono, si assicurano dolori in varia misura e di durata imprevedibile. Da quel che ho capito, i tuoi dolori in merito sono di natura lieve ma fastidiosa. Naturalmente non te lo auguro, ma temo che quei dolori si rinforzeranno nel tempo.
    Ma tornando ai nostri campioni, essi,  naturalmente salvo eccezioni, bene o male restano un po’ condizionati dal proprio modo di presentarsi al gioco, e tendono a trasmetterlo a chiunque così com’è, indifferenziato; di solito gli allievi lo assecondano di buon grado, perché pensano: ‘Beh, se facendo così lui è diventato campione, mi conviene farlo allo stesso modo anch’io.’ In pratica, è difficile che un campione abbia il tempo, la voglia, la capacità di studiare ogni singolo allievo e suggerire a ciascuno le modifiche tecniche giuste per ciascuno, sapendo che una certa modifica tecnica vada bene per l’allievo A, e per quello B ne vada bene un’altra abbastanza diversa dalla precedente.  
    Ecco, amico mio, al momento me la cavo così; ma, come ho accennato prima, questo particolare questione dell’insegnamento ha altri aspetti che, se qualcuno me ne farà richiesta, potrò magari descrivere in modo più esauriente nel forum, a disposizione di tutti, perché le tue domande davvero aprono la porta ad argomenti, chiamiamoli così, universali.
sergio vidotto
Non connesso
Utente
 
Messaggi: 8
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 3 maggio 2013, 22:16

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda MaurizioLudomania » mercoledì 18 settembre 2013, 20:13

Attenzione ... Sergio Vidotto ha fatto un po' di casino   :stelle:  :stelle:  :stelle:  con i messaggi privati ... informo che o prima o poi :D  :D riuscirà a rispondere a tutti coloro gli hanno chiesto un reply ... abbiate pazienza  :okpollicione:  :okpollicione:  :okpollicione:
MaurizioLudomania
Non connesso
Utente Naz-Pro
 
Messaggi: 703
(Cerca: tutti)

Iscritto il: sabato 25 giugno 2005, 4:20
Località: trieste

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » sabato 21 settembre 2013, 15:15

omeris ha scritto:Ringrazio ancora il Sig.Vidotto a rischio di diventare monotono.
Trovo nei Suoi concetti un velo, pur affascinante e carico di mistero, che voglio provare a sollevare, con gran rispetto e prudenza.
Nel mio vano peregrinare alla ricerca di una spiegazione e di un rimedio trovo :
L’ansia agonistica presente negli atleti può avere riflessi positivi o negativi sulla performance sportiva, a seconda della sua intensità.
Esiste una stretta correlazione tra tensione-ansia e performance, che può essere rappresentata graficamente con una curva ad U rovesciata, definita anche come legge di Yerkes e Dodson (1908).
La performance ottimale si ha ad un livello moderato di emotività (ansia positiva): un aumento o una diminuzione di tale livello genera effetti negativi.
Nello specifico, senza tensione mancherebbero livelli adeguati di motivazione e di interesse alla competizione, nonché la spinta ad attivare positivamente le proprie forze; d’altra parte, troppa ansia inibisce l’attività, in quanto mette in moto solo attività di difesa.


A questo punto vengo al sodo e  domando a tutti Voi come riuscire a contenere questa emotività necessaria e utile in un limite positivo, pur utilizando sostanze adeguate senza cadere nel doping .
MM rendo conto che tale domanda andrebbe rivolta ad esperti psichiatri, ma trattandosi di un percorso lungo e non privo di ostacoli e rischi, chiedo a chi l'avesse già sperimentato magari con successo, di voler qui suggerire qualche consiglio, opportunamente dettato da una precisa esperienza.
Ringrazio sentitamente chiunque partecipi alla discussione e al confronto di opinioni e notizie in questo senso.

omeris


Mi autoquoto per precisare quanto segue e chiedo venia.
Soltanto nella sala che frequento siamo almeno in 4 ad accusare la stessa patologìa afferente una, anche se saltuaria, eccessiva emotività.
Possibile che fra tutti i partecipanti al forum non ci sia nessuno in grado di estendere suggerimenti e consigli, basati sulla propria vissuta esperienza dell'argomento?  :boh:
omeris
Non connesso
Avatar utente
Utente Super Sajan
 
Messaggi: 2593
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 29 febbraio 2008, 19:30
Località:

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda mingabun » sabato 21 settembre 2013, 18:54

edit di fabrisoft
Ultima modifica di fabrisoft il lunedì 23 settembre 2013, 10:58, modificato 1 volta in totale.
mingabun
Non connesso
Utente Nazionale
 
Messaggi: 612
(Cerca: tutti)

Iscritto il: lunedì 22 luglio 2013, 11:27

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda fabrisoft » sabato 21 settembre 2013, 19:02

edit di fabrisoft
Ultima modifica di fabrisoft il lunedì 23 settembre 2013, 10:58, modificato 1 volta in totale.
fabrisoft
Seguici su Facebook e Twitter
fabrisoft
Non connesso
Avatar utente
Amministratore
 
Messaggi: 28276
(Cerca: tutti)

Iscritto il: mercoledì 12 novembre 2003, 13:53
Località: RM

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda mingabun » lunedì 23 settembre 2013, 10:58

edit di fabrisoft
Ultima modifica di fabrisoft il lunedì 23 settembre 2013, 10:58, modificato 1 volta in totale.
mingabun
Non connesso
Utente Nazionale
 
Messaggi: 612
(Cerca: tutti)

Iscritto il: lunedì 22 luglio 2013, 11:27

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » mercoledì 9 ottobre 2013, 1:53

vi porto un esempio di come la mente può  influenzare il mio gioco:
ieri sera in gara gioco e vinco la prima alla seconda incontro un "signore" che già all'inizio comincia a mettersi davanti sulla mia linea di tiro,purtroppo l'arbitro non interviene ed io comincio a mangiare rabbia ,alla settima ottava volta che succede prego l'arbitro di richiamarlo,ma ormai la frittata interna era fatta,la rabbia ha avuto il sopravvento ed io sono entrato in tensione e tiravo solo per spaccare in due l'avversario ed anche il tavolo da biliardo:naturalmente tutto ciò mi ha portato alla sconfitta.
A mente fredda la cosa che mi ha dato più fastidio è stata la poca attenzione dell'arbitro che non mi ha tutelato,purtroppo loro(non tutti ma la maggioranza) sono così"Disattenti" che sperare in un loro intervento penso che sia un'utopia.
A quanto pare nonostante tutti i mie buoni propositi ci sono episodi inaspettati che mi mandano in tilt!!!!!!
q.i.171 caccia al birillo rosso e difesa di ferro
Cerco di studiare,applicare e sperimentare al meglio delle mie possibilità:
tecnica,didattica, matematica e strategie applicate al gioco del biliardo.
....più conosco e meno mi sembra di sapere!!!
....però... più conosco e meglio sto!!!
asso ferro
Non connesso
Avatar utente
Utente Senior
 
Messaggi: 147
(Cerca: tutti)

Iscritto il: sabato 24 novembre 2012, 13:52
Località: canonica lambro ( mi )

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda omeris » giovedì 10 ottobre 2013, 16:11

Torno a "ribaltare la frittata".
Sei sicuro che tu non fossi gia' "predisposto" a qualche turbamento negativo ?
Se non fosse stato il mettersi davanti al tiro, sarebbe stata qualche altra causa.
Quando siamo troppo "nervosi" vuoi sapere perchè, si cerca sempre una giustificazione
Invece, quando si va forte, non si fa nemmeno caso a certi eventi.
Ti sei mai chiesto perchè, in quella circostanza, hai subìto l' influenza di fattori esterni che in altre occasioni non avresti nemmeno notato ?  :perplesso:
omeris
Non connesso
Avatar utente
Utente Super Sajan
 
Messaggi: 2593
(Cerca: tutti)

Iscritto il: venerdì 29 febbraio 2008, 19:30
Località:

Re: "Perchè si sbaglia nel gioco del biliardo" di Sergio Vid

Messaggioda asso ferro » venerdì 11 ottobre 2013, 1:39

ciao omeris
ci ho pensato ma non mi sembra di essere stato particolarmente predisposto ,tantè che la partita prima l'ho chiusa con freddezza nonostante un paio di episodi fortunosi del mio avversari,è stato proprio il comportamento reiterato del mio avversario che mi ha fatto perdere lucidità e la sua risposta saccente"non ero proprio davanti ero spostato mezzo metro" e non era una cosa a cui potevo passare sopra,oltretutto si muoveva anche.
da quando applico alcune metodologie di sergio il mio gioco in gara è notevolmente migliorato sotto l'aspetto comportamentale.
avrei dovuto dirglielo al primo episodio e metterlo subito in riga visto che non era un novellino,ci sono troppi furbi o che pensano di esserlo,e se lui è uno di questi stavolta me l'ha fatta.
Purtroppo lui era anche un buon giocatore,anche esperto,mi ha battuto al tiro,ma io ho giocato diciamo con molta meno lucidità.
Conclusione:bravo,esperto,calmo,e.....moooolto ...vorrei mettere degli epiteti ma scenderei al suo livello.
:ciao:  :ciao:  :okpollicione:
q.i.171 caccia al birillo rosso e difesa di ferro
Cerco di studiare,applicare e sperimentare al meglio delle mie possibilità:
tecnica,didattica, matematica e strategie applicate al gioco del biliardo.
....più conosco e meno mi sembra di sapere!!!
....però... più conosco e meglio sto!!!
asso ferro
Non connesso
Avatar utente
Utente Senior
 
Messaggi: 147
(Cerca: tutti)

Iscritto il: sabato 24 novembre 2012, 13:52
Località: canonica lambro ( mi )

PrecedenteProssimo


Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 17 ospiti

cron

Login Form

Chi c’è in linea

In totale ci sono 17 utenti connessi :: 0 iscritti, 0 nascosti e 17 ospiti
Record di utenti connessi: 1297 registrato il domenica 12 giugno 2016, 23:21

Visitano il forum: Nessuno e 17 ospiti